The Raven

codice: 327

Estratto da The Raven (il Corvo) - E.A.Poe "Quoth the Raven: 'Nevermore'"


codice: 327
larghezza (cm): 47
altezza (cm): 32
disponibile subito: no
valuta tempi: tempi di produzione
supporto: Carta bambagina
materiali e strumenti: Inchiostro ferrogallico, Oro in conchiglia, Penna d'oca
in collaborazione con: Elisa Lo Presti

Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato
meditavo sovra un raro, strano codice obliato,
e la testa grave e assorta — non reggevami piú su,
fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta.
«Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta,
solo questo e nulla più!»
Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento
dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.
Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù
a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora,
la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora
e qui nome or non ha più!
E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti
mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti!
tanto infine che, a far corta — quell’angoscia, m’alzai su
mormorando: «È un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
questo, e nulla, nulla più!».
Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse,
mossi un passo, e: «Signor — dissi — o signora, mille scuse!
ma vi giuro, tanto assorta — m’era l’anima e quassù
tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta,
ch’io non sono ancor ben certo d’esser desto». Aprii la porta:
un gran buio...

Edgar Allan Poe, Il Corvo (traduzione di Ernesto Ragazzoni - 1845)

Once upon a midnight dreary, while I pondered, weak and weary,
Over many a quaint and curious volume of forgotten lore—
While I nodded, nearly napping, suddenly there came a tapping,
As of some one gently rapping, rapping at my chamber door.
“’Tis some visitor,” I muttered, “tapping at my chamber door—
Only this and nothing more.”
Ah, distinctly I remember it was in the bleak December;
And each separate dying ember wrought its ghost upon the floor.
Eagerly I wished the morrow;—vainly I had sought to borrow
From my books surcease of sorrow—sorrow for the lost Lenore—
For the rare and radiant maiden whom the angels name Lenore—
Nameless here for evermore.
And the silken, sad, uncertain rustling of each purple curtain
Thrilled me—filled me with fantastic terrors never felt before;
So that now, to still the beating of my heart, I stood repeating
“’Tis some visitor entreating entrance at my chamber door—
Some late visitor entreating entrance at my chamber door;—
This it is and nothing more.”
Presently my soul grew stronger; hesitating then no longer,
“Sir,” said I, “or Madam, truly your forgiveness I implore;
But the fact is I was napping, and so gently you came rapping,
And so faintly you came tapping, tapping at my chamber door,
That I scarce was sure I heard you”—here I opened wide the door;—
Darkness there...

Edgar Allan Poe, The Raven