dante purgatorio 28

Dante Purgatorio 28°

codice: 342

La soave selva del Purgatorio narrata da Dante - nella Divina Commedia

codice: 342
larghezza (cm): 45
altezza (cm): 65
disponibile subito: no
valuta tempi: tempi di produzione
supporto: Vellum
materiali e strumenti: Inchiostro ferrogallico, Matite Colorate, Penna d'oca, Tecnica mista
in collaborazione con: Elisa Lo Presti

Vago già di cercar dentro e dintorno 
la divina foresta spessa e viva, 
ch’a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva, 
prendendo la campagna lento lento 
su per lo suol che d’ogne parte auliva.

Un’aura dolce, sanza mutamento 
avere in sé, mi feria per la fronte 
non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte 
tutte quante piegavano a la parte 
u’ la prim’ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte 
tanto, che li augelletti per le cime 
lasciasser d’operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l’ore prime, 
cantando, ricevieno intra le foglie, 
che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie 
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi, 
quand’Eolo scilocco fuor discioglie.

Già m’avean trasportato i lenti passi 
dentro a la selva antica tanto, ch’io 
non potea rivedere ond’io mi ‘ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio, 
che ‘nver’ sinistra con sue picciole onde 
piegava l’erba che ‘n sua ripa uscìo.   
Tutte l’acque che son di qua più monde, 
parrieno avere in sé mistura alcuna, 
verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna 
sotto l’ombra perpetua, che mai 
raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristretti e con li occhi passai 
di là dal fiumicello, per mirare 
la gran variazion d’i freschi mai;

e là m’apparve, sì com’elli appare 
subitamente cosa che disvia 
per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia 
e cantando e scegliendo fior da fiore 
ond’era pinta tutta la sua via.
«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore 
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti 
che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti», 
diss’io a lei, «verso questa rivera, 
tanto ch’io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era 
Proserpina nel tempo che perdette 
la madre lei, ed ella primavera

Come si volge, con le piante strette 
a terra e intra sé, donna che balli, 
e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli 
fioretti verso me, non altrimenti 
che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti, 
sì appressando sé, che ‘l dolce suono 
veniva a me co’ suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l’erbe sono 
bagnate già da l’onde del bel fiume, 
di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume 
sotto le ciglia a Venere, trafitta 
dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l’altra riva dritta, 
trattando più color con le sue mani, 
che l’alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani; 
ma Elesponto, là ‘ve passò Serse, 
ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse 
per mareggiare intra Sesto e Abido, 
che quel da me perch’allor non s’aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch’io rido», 
cominciò ella, «in questo luogo eletto 
a l’umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto; 
ma luce rende il salmo Delectasti, 
che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se’ dinanzi e mi pregasti, 
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta 
ad ogne tua question tanto che basti

«L’acqua», diss’io, «e ‘l suon de la foresta 
impugnan dentro a me novella fede 
di cosa ch’io udi’ contraria a questa».

Ond’ella: «Io dicerò come procede 
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face, 
e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, 
fé l’uom buono e a bene, e questo loco 
diede per arr’a lui d’etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco; 
per sua difalta in pianto e in affanno 
cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché ‘l turbar che sotto da sé fanno 
l’essalazion de l’acqua e de la terra, 
che quanto posson dietro al calor vanno,

a l’uomo non facesse alcuna guerra, 
questo monte salìo verso ‘l ciel tanto, 
e libero n’è d’indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto 
l’aere si volge con la prima volta, 
se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,

in questa altezza ch’è tutta disciolta 
ne l’aere vivo, tal moto percuote, 
e fa sonar la selva perch’è folta;

e la percossa pianta tanto puote, 
che de la sua virtute l’aura impregna, 
e quella poi, girando, intorno scuote;

e l’altra terra, secondo ch’è degna 
per sé e per suo ciel, concepe e figlia 
di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia, 
udito questo, quando alcuna pianta 
sanza seme palese vi s’appiglia.

E saper dei che la campagna santa 
dove tu se’, d’ogne semenza è piena, 
e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L’acqua che vedi non surge di vena 
che ristori vapor che gel converta, 
come fiume ch’acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa, 
che tanto dal voler di Dio riprende, 
quant’ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende 
che toglie altrui memoria del peccato; 
da l’altra d’ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l’altro lato 
Eunoè si chiama, e non adopra 
se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra. 
E avvegna ch’assai possa esser sazia 
la sete tua perch’io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia; 
né credo che ‘l mio dir ti sia men caro, 
se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch’anticamente poetaro 
l’età de l’oro e suo stato felice, 
forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l’umana radice; 
qui primavera sempre e ogne frutto; 
nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi ‘n dietro allora tutto 
a’ miei poeti, e vidi che con riso 
udito avean l’ultimo costrutto; 

poi a la bella donna torna’ il viso.

Dante Alighieri - Purgatorio - canto XXVIII integrale
  • L'illustrazione è una replica a cura di Elisa Lo Presti del ritratto di Dante realizzato da Botticelli
  • Dante Alighieri - Inferno - canto XXVIII - integrale

dal minuto 9.30 comincia la parte trascritta in questa pergamena, recitata dall'immenso Vittorio Gassman (1993)