paradise lost

Paradise Lost

codice: 412

Estratto dal "Paradiso Perduto" di John Milton.
Questo lavoro è stato pubblicato su "La Repubblica" come copertina della mostra "I demoni di Pietra" tenutasi al "Circolo degli Artisti" di Torino.

codice: 412
larghezza (cm): 50
altezza (cm): 35
disponibile subito: no
valuta tempi: tempi di produzione
supporto: Carta artistica
materiali e strumenti: Inchiostro ferrogallico, Penna d'oca, Tecnica mista
in collaborazione con: Elisa Lo Presti
  • Il Paradiso perduto (titolo originale: Paradise Lost), pubblicato nel 1667, è il poema epico in versi sciolti (blank verse) di John Milton, che racconta l'episodio biblico della caduta dell'uomo: la tentazione di Adamo ed Eva ad opera di Satana e la loro cacciata dal giardino dell'Eden. L'estratto copre i versi dal 241 al 269
  • L'Illustrazione è stata realizzata da Elisa Lo Presti in seno alla manifestazione "I demoni di Pietra" in cui una cerchia selezionata di artisti è stata ammessa al cimitero monumentale di Torino per ritrarre particolari dei monumenti funerari, uno dei quali è diventato parte di questo lavoro

"È questa la regione è questo il suolo e il clima",
disse allora l'Arcangelo perduto, è questa sede che
abbiamo guadagnato contro il cielo, questo dolente buio
contro la luce celestiale? Ebbene, sia pure così
se ora colui che è sovrano può dire e decidere
che cosa sia il giusto: e più lontani siamo
da lui e meglio è, da lui che ci uguagliava per ragione
e che la forza ha ormai reso supremo
sopra i suoi uguali.

Addio, campi felici,
dove la gioia regna eternamente! E a voi salute, orrori,
mondo infernale; e tu, profondissimo inferno, ricevi
il nuovo possidente: uno che tempi o luoghi
mai potranno mutare sua mente.

La mente è il proprio luogo
e può in se fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo
Che cosa importa dove, se rimango me stesso; e che altro
dovrei essere allora se non tutto, e inferiore soltanto
a lui che il tuono ha reso il più potente? Qui almeno
saremo liberi; poiché l'Altissimo non ha edificato
questo luogo per poi dovercelo anche invidiare,
non ne saremo cacciati: vi regneremo sicuri, e a mio giudizio
regnare è una degna ambizione, anche sopra l'inferno:
meglio regnare all’inferno che servire in cielo.

Quindi perché lasciare gli amici fedeli,
gli alleati e i partecipi di questa nostra perdita,
giacere così attoniti sull'acque immemoriali,
e non chiamarli con noi a condividere
la loro sorte in questa dimora infelice,
o a tentare con noi nuovamente, riprese le armi,
ciò che ancora può essere riconquistato in cielo

Is this the Region, this the Soil, the Clime,
Said then the lost Arch Angel, this the seat
That we must change for Heav’n, this mournful gloom
For that celestial light? Be it so, since hee
Who now is Sovran can dispose and bid
What shall be right: fardest from him is best
Whom reason hath equald, force hath made supream
Above his equals. Farewel happy Fields
Where Joy for ever dwells: Hail horrours, hail
Infernal world, and thou profoundest Hell
Receive thy new Possessor: One who brings
A mind not to be chang’d by Place or Time.
The mind is its own place, and in it self
Can make a Heav’n of Hell, a Hell of Heav’n.
What matter where, if I be still the same,
And what I should be, all but less then hee
Whom Thunder hath made greater? Here at least
We shall be free; th’ Almighty hath not built
Here for his envy, will not drive us hence:
Here we may reign secure, and in my choyce
To reign is worth ambition though in Hell:
Better to reign in Hell, then serve in Heav’n.
But wherefore let we then our faithful friends,
Th’ associates and copartners of our loss
Lye thus astonisht on th’ oblivious Pool,
And call them not to share with us their part
In this unhappy Mansion, or once more
With rallied Arms to try what may be yet
Regaind in Heav’n, or what more lost in
Hell?

John Milton Paradise Lost (1667) - vv. 241-269