Brano del "Vita Nova" di Dante, replicato dal Codex Chigiano L.VIII.305 (1350 d.C. circa) conservato nella biblioteca vaticana
- codice: 472
- larghezza (cm): 23
- altezza (cm): 28
- disponibile subito: no
- valuta tempi: tempi di produzione
- supporto: Vellum
- materiali e strumenti: Blu di lapislazzuli, Inchiostro ferrogallico, Penna d'oca, Rosso vermiglione
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Il brano del "Vita Nova" dantesco è replicato da un importante codice della metà del 1300 denominato "Codex Chigiano L.VIII.305" e conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
- LINK AL MANOSCRITTO ORIGINALE: Clicca qui per le scansioni del manoscritto originale dalla Biblioteca Apostolica Vaticana
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Approfondimenti:
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[...] duri. Per Lucano parla la cosa animata a la cosa inanimata, quivi: Multum, Roma, tamen debes civilibus armis. Per Orazio parla l'uomo a la scienzia medesima sì come ad altra persona; e non solamente sono parole d'Orazio, ma dicele quasi recitando lo modo del buono Omero, quivi ne la sua Poetria: Dic michi, Musa, virum. Per Ovidio parla Amore, sì come se fosse persona umana, ne lo principio de lo libro c'ha nome Libro di Remedio d'Amore, quivi: Bella michi, video, bella parantur, ait. E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello.
E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che né li poete parlavano così sanza ragione, né quelli che rimano deono parlare così non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rettorico, e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E questo mio primo amico e io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente.
Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d'alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse.
Ella coronata e vestita d'umilitade s'andava, nulla gloria mostrando di ciò ch'ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: "Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo". E altri diceano: "Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!".
Io dico ch'ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare.
Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Questo sonetto è sì piano ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d'alcuna divisione; e però lassando lui, [XXVII] dico che questa mia donna venne in tanta grazia, che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte.
Ond'io, veggendo ciò e volendo manifestare a chi ciò non vedea, propuosi anche di dire parole, ne le quali ciò fosse significato; e dissi allora questo altro sonetto, che comincia: Vede perfettamente onne salute, lo quale narra di lei come la sua vertude adoperava ne l'altre, sì come appare ne la sua divisione.
Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede;
quelle che vanno con lei son tenute
di bella grazia a Dio render merzede.
E sua bieltate è di tanta vertute,
che nulla invidia a l'altre ne procede,
anzi le face andar seco vestute
di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua fa onne cosa umile;
e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è ne li atti suoi tanto gentile,
che nessun la si può recare a mente,
che non sospiri in dolcezza d'amore.
Questo sonetto ha tre parti: ne la prima dico tra che gente questa donna più mirabile parea; ne la seconda dico sì come era graziosa la sua compagnia; ne la terza dico di quelle cose che vertuosamente operava in altrui. La seconda parte comincia quivi: quelle che vanno; la terza quivi: E sua bieltate.
Questa ultima parte si divide in tre: ne la prima dico quello che operava ne le donne, cioè per loro medesime; ne la seconda dico quello che operava in loro per altrui; ne la terza dico come non solamente ne le donne, ma in tutte le persone, e non solamente ne la sua presenzia, ma ricordandosi di lei, mirabilemente operava. La seconda comincia quivi: La vista sua; la terza quivi: Ed è ne li atti.
Appresso ciò, cominciai a pensare uno giorno sopra quello che detto avea de la mia donna, cioè in questi due sonetti precedenti; e veggendo nel mio pensero che io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava in me, pareami defettivamente avere parlato.
E però
COME COMPLICARSI LE COSE, E VIVERE (ESTREMAMENTE) FELICI!
La richiesta iniziale era una cosa abbastanza semplice:
'Scriveresti per me il celebre brano Dantesco dal Vita Nova in uno stile che richiami quello dell'epoca?"
Il brano era:
"Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare."
Da lì è cominciata l'avventura!
Infatti mi sono messo a fare ricerche (vi debbo dire quanto mi piaccia passare il tempo a consultare manoscritti storici?), ed ho trovato negli archivi della Biblioteca Apostolica Vaticana un codice scritto meno di trent'anni dopo la morte di Dante che riportava tutto il Vita Nova.
Un codice tanto importante da essere diventato la base dal quale noi abbiamo ricavato il testo Dantesco e tanto bello che ci ho messo un (bel) po' a ricordarmi che dovevo trovarne un punto specifico.
A quel punto, invece di prendere nota solamente dello stile da utilizzare, mostro al committente direttamente le foto del codice e lui se ne innamora come me, sia per la bellezza dello scritto, che per la storia del manoscritto.
il brano che lui desiderava comincia al folium 20 verso e continua sul folium 21 recto (per capirci: la "T" rossa che vedete in foto è l'iniziale di "Tanto gentile") e gli propongo di reimpaginare il brano in un'unica pergamena.
Lui ci rimane male, gli dispiace "rompere" la struttura dell'originale, e mi chiede se sarei disposto a copiare per intero le due pagine che contengono il sonetto.
A me non pare il vero! Non potrei chiedere di meglio, e quando accetta il nuovo preventivo mi attivo per preparare due pagine "monumentali" (grandi sono più facili da copiare e fanno più scena nel salotto di chi le espone)
Solo che appena prima di mettere la penna d'oca sul foglio ripenso a quanto abbia insistito ad avere uno stile come quello dell'epoca, materiali come quelli dell'epoca, e quindi mi prende il dubbio: "non vorrà mica anche misure come quelle del manoscritto originale?".
Innocentemente lo contatto e glielo chiedo, prima ancora di valutare cosa ciò avrebbe potuto comportare per me.
Dopo aver pensato un po' ai pro ed ai contro della questione il committente mi conferma che sì, lo preferirebbe nelle dimensioni originali.
Faccio le mie ricerche, scopro le misure della pagina, e - ORRORE! - con le debite proporzioni il corpo lettera risulta di circa 1,5mm ? (tanto per farvi capire: nello spazio di una moneta da 1 centesimo entrano 3 righe di manoscritto ?)
Il mio orgoglio professionale (e la voglia di rifare un manoscritto storico ESATTAMENTE come l'originale) mi impediscono di fare marcia indietro... e comincia la stesura di quella che forse ad oggi è stata la commessa più complessa e soddisfacente di sempre.
Riuscite ad immaginare la sensazione di star replicando con gli stessi segni, nella stessa misura, con gli stessi strumenti e gli stessi materiali, i gesti di un anonimo scriptor vissuto sette secoli fa?
Se non ci riuscite lasciate che vi dica che è qualcosa di magico, che ti dà pienamente l'idea di onorare una storia secolare.
Finisco la prima pagina; la mostro dapprima al committente che se ne dice pienamente soddisfatto, e poi a dei colleghi, che si complimentano per la precisione ed il coraggio di affrontare una misura così minuta.
Poi mi metto a scrivere la seconda... e mi accorgo che nel frattempo ci ho preso mano, e che il risultato è migliore della prima. Troppo migliore della prima, almeno ai miei occhi.
Le guardo entrambe, le metto vicine, e mi accorgo che non ce la faccio. L'accostamento mi stona, non mi soddisfa.
E quindi decido di riscrivere integralmente la prima pagina.
Contatto il committente, gli chiedo se ha particolare fretta di ricevere il lavoro, o se mi permette di fare questa pazzia.
Capite ora il motivo del titolo "Complicarsi le cose e vivere felici"?! ?
Beh, questo è il risultato finale di un'avventura, lunga, complicata, ma piena zeppa di soddisfazione, amore, in cui spero di aver onorato il lavoro di quello scriptor, il mio committente, e la serietà di quel che faccio.
Voi cosa ne dite?