La lunghissima intervista rilasciata a Narrare di Storia, in cui racconto al Dott. Carlo Cavazzuti cosa significa per me essere un amanuense e di come riesca a farlo nel XXI secolo
Narrare di Storia e narrare la storia lo si può fare in molti modi diversi e me piace farlo il più possibile documentandomi dalle fonti dirette. Noi storici (amatoriali o professionisti) dobbiamo confrontarci sempre e solo con dei reperti senza voce.
Solo chi si occupa di storia del Novecento ha la fortuna di avere registrazioni di interviste filmate o radiofoniche da cui sentire a viva voce le vicende di cui si occupa.
Non si può però discorrere con un cavaliere, non possiamo fare un salto al calidarium con Catullo, parlare di pappagalli australiani con l’imperatore Federico o calcare i passi su uno dei ponti dei vascelli della Grande y Felicisima Armada.
A volte però si trova qualcuno che ha fatto suo un lavoro, ha studiato così a fondo o ha una tale affinità con una parte del nostro passato per cui possiamo rivolgerci a lui chiudendo gli occhi ed immaginando di essere secoli o millenni nel passato rivivere un pezzetto di storia.
A molti che viaggiano per musei sarà capitato di trovarsi davanti a teche con incunaboli miniati, antifonari, testi religiosi, documenti famosi e scritti di semplice narrativa con un valore artistico immenso.
Vi sarete chiesti come sono stati realizzati, con che materiali, il tempo necessario per vergare anche solo una pagina di quelle splendide opere.
Tanto si parla dei frati amanuensi e degli scriptorium, più o meno famosi, dei vari conventi e monasteri in giro per l’Europa medioevale. Qui abbiamo trovato un amanuense che monaco non è, ma ha uno scriptorium. Un uomo che vive e lavora nella nostra Italia, per la precisione a Recanati, dove un suo concittadino illustre ha dato alla scrittura una fama eterna e mondiale.
Stefano Gelao, questo è il nome dell’artigiano amanuense che oggi è su questa pagina virtuale a spiegarci in una lunga intervista un poco del suo lavoro e come si arriva a essere un amanuense, quali gli strumenti, e senza svelare troppi dei suoi segreti, quali le tecniche per ricreare le pagine che tanto si ammirano nei musei.
- Iniziamo con calma, chi è Stefano Gelao e chi vorrebbe essere?
Sono un uomo che cerca, un innamorato della storia e delle storie. Sono una persona fortunata, che ha avuto sempre intorno supporto e sostegno. Sono il tipo che ad un certo punto della sua vita decide di rimettersi in gioco integralmente e che abbandona una carriera più che decennale nel mondo dell’informatica per mettersi a fare l’amanuense.
Chi voglio diventare? Sostanzialmente un uomo felice il più spesso possibile. E ci sto lavorando dando valore al mio tempo. Nel frattempo, tramite studio e pratica, cerco di diventare l’amanuense migliore che posso e lungo il cammino cerco di far innamorare chiunque mi incrocia di un mondo ormai quasi dimenticato, fatto di pergamene, penne d’oca, mani che scrivono e storie che si dipanano lungo le pagine.
- Stefano, di tanti mestieri che una persona poteva fare, perché proprio il calligrafo?
Ho scelto la professione del calligrafo perché le belle lettere sono una delle mie brucianti passioni fin da bambino. Già prima di aver imparato a scrivere, amavo perdermi in quella rilassante regolarità della pagina ben vergata. A poco più di quattro anni già pasticciavo con pennino e calamaio, improvvisando alfabeti e sostituendo la mancanza di conoscenza con la fantasia infantile. Ho scelto la calligrafia come professione nel momento in cui ho realizzato che essa ha ancora ad oggi tantissimi campi di applicazione quasi completamente inesplorati, che le mani che la praticano sono quelle di pochi sognatori, nostalgici e pionieri. L’ho scelta quando ho realizzato che “vestire a mano le parole” con la cura, l’attenzione, l’orientamento alla bellezza come quelli di mille anni fa poteva avere un mercato ancora oggi, poteva rispondere al bisogno di possedere qualcosa che profumi di storia, bellezza ed eternità.
E quel bisogno, io lo vedo ogni giorno, effettivamente esiste.
- Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un buon calligrafo?
Le doti necessarie a fare di un “pennaiolo” un buon calligrafo sono molte e varie ed io non credo nemmeno di saperle nominare tutte, figuriamoci di possederle!
Fra quelle che ritengo importanti ci sono anzitutto l’amore per le lettere, dal quale tutto il resto discende.
Poi lo studio, a partire dal ductus di ciascuna littera si voglia imparare, ad arrivare alla disposizione del testo sulla pagina. Arrivare a padroneggiare davvero questi due soli argomenti può essere il lavoro di una vita intera.
Poi c’è la pratica; questa è un’attività che non fa sconti a nessuno. La mano va esercitata, tenuta in allenamento; ogni movimento deve passare alla memoria corporea. Praticare con dedizione, attenzione e costanza è indispensabile. Quello che viene dal pubblico erroneamente scambiato con il “talento” è per la maggior parte dei calligrafi in realtà frutto di chilometri di inchiostro vergati su carta.
- Tu ti definisci un artigiano e non un artista (potresti definirti tale senza alcun problema), perché?
Io credo che gli artisti siano i figli di Prometeo “colui che guarda in avanti”. Li ho sempre reputati i visionari che immaginano i mondi che ancora non esistono, sono una forza propulsiva che ci porta avanti.
Io mi sento più figlio di Epimeteo “colui che guarda indietro”, io non invento nulla: scrivo meglio che posso le parole di altre persone, molto più grandi di me, e lo faccio con tecniche antiche oltre che con lettere che son state codificate secoli, a volte millenni fa.
Se gli artisti “creano e inventano”, io sono un artigiano che ripete i vecchi gesti e ricorda le vecchie storie.
- Ormai da anni si usano i termini “Archeologia Sperimentale” (forse erroneamente) per definire delle ricostruzioni moderne di artefatti riprodotti con le stesse tecniche e materiali storici. Potremmo definirti un archeologo sperimentale?
Le mie riproduzioni cercando di avvicinarsi quanto più possibile agli originali storici. Dove posso uso lo stesso tipo di cartapecora o di carta bambagina, lo stesso tipo di inchiostri e pigmenti, le stesse penne d’oca. Per una riproduzione di una pagina di una Divina Commedia scritta a Siena nel 1363 ho utilizzato cinabro proveniente dal monte Amiata per cercare anche la filiera il più simile possibile a quella che potrebbero avere utilizzato gli amanuensi dell’epoca.
In qualche modo però, mio malgrado, non credo di potermi definire “archeologo sperimentale”, quantomeno per il fatto che a differenza dalla quasi totalità degli scribi del mondo antico io sono mancino e scrivo con il foglio rovesciato rispetto a come si è soliti tenerlo. In qualche modo mi ritrovo in una condizione simile a quella del Da Vinci che – come sappiamo – è stata una assoluta rarità per il suo tempo.
- So che a volte lavori assieme ad altre persone per opere più complesse o che richiedono decori particolari, chi sono e come hai scelto la loro mano tra tante?
Certo, ho in mente l’impostazione degli scriptoria antichi; cerco di ricrearne la formula: amanuensi a scrivere i testi, miniatori ed artisti a decorarli.
I criteri con cui li scelgo sono semplici: cerco mani abili, che non si facciano spaventare dalla particolarità dei materiali e delle tecniche, animi appassionati, e soprattutto persone in grado di interagire con uno spigoloso amanuense!
Ho collaborato, collaboro con mani preziose, anche di gran fama, che danno pregio alle pergamene (Emanuel Simeoni, Ivan Cavini, Elisa Lo Presti, Gaia Perotto, Matteo Aldenti) e spesso mi affianco con giovani mani che mi piace promuovere e che reputo validi apporti nel lavoro.
Mi piacerebbe che lo scriptorium un giorno possa diventare un nido in cui giovani artisti possano formarsi, crescere, capire “che è possibile” e poi dirigersi verso la loro avventura professionale fatta di bellezza e di arte.
- Per uno come me che fa gli omini con le stanghette e la testa a tondino il tuo lavoro è mirabolante, ma ci saranno comunque delle difficoltà anche per voi esperti, quali sono?
Le difficoltà, specie in calligrafia sono una per ciascun tratto che devi vergare.
Hanno definito la calligrafia “musica per gli occhi”; e come nella musica una sola stonatura spicca nell’armonia generale, così nella pagina una sola lettera storta brillerà di orrida luce.
Per me è difficile talvolta accettare che alcune imprecisioni rendono la pagina più viva e vera.
Ma una delle cose più difficili è probabilmente arrivare ad interiorizzare dei tempi diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati a vivere.
Per creare armonia c’è bisogno del suo tempo, c’è bisogno di respirare con calma, e di muoversi a ritmi inaccettabili rispetto alle nostre usuali abitudini; accelerare di solito significa sbagliare.
- Le tue opere di ispirazione storica variano nettamente su un intervallo di centinaia di anni, hai dovuto studiare i singoli alfabeti per riprodurli? Hai fatto tutto da autodidatta o ci sono corsi e manuali per fare il calligrafo? Sei per caso andato a bottega?
Prima di prendere la penna in mano, tutto va studiato, ogni singolo differente alfabeto, spesso nelle sue diverse varianti. Quando si parla di riproduzioni storiche poi, il discorso è ancora più complesso: va studiata la singola mano che si copia.
È mia buona norma cercare le trascrizioni degli autori che andrò a copiare e leggere la trascrizione guardando il manoscritto originale, così da prendere familiarità con le legature, con i vezzi e le varianti applicate alla “littera madre”.
Io sin da piccolo frequentavo musei, così come gli altri bambini parchi giochi, e ne uscivo con fotocopie e libri sui manoscritti lì conservati. I mercatini rionali mi hanno regalato i primi pennini e i primi manuali calligrafici di inizio Novecento (poi scoprii che esistono materiali migliori e manuali decisamente più validi), quindi ho cominciato ed ho frequentato lungamente le lettere ornate come autodidatta. Poi ho avuto la fortuna di lavorare a bottega in un grande scriptorium e lì, più ancora degli alfabeti antichi, ho capito che uno scriptorium anche oggi è un progetto “possibile”, e infine ho frequentato corsi di ottimi maestri che ancora oggi si occupano di insegnare diffondere la tecnica calligrafica. C’è un mondo dietro ogni lettera di ogni alfabeto, regolato da canoni di armonia e bellezza; ciascun tratto è in seguito a studio, nulla è improvvisato.
- Nel tuo lavoro hai eseguito opere di diverso tipo: nel tuo catalogo e sulla tua pagina Facebook “Scritto a Mano, Scriptorium Amanuense” si trovano opere con Dart Fener e la Vergine Maria nonché copie fedelissime di testi storici tra i più famosi al mondo. Qual è stata o quale sarà l’opera più complessa che hai realizzato e quale quella che ti ha preso di più nel realizzarla?
Di opere laboriose e complesse ne ricordo molte, dal trittico pergamene stese a telaio su cui ho vergato la “Canzona di Bacco ed Arianna” di Lorenzo De Medici, a tutto il canto ventiseiesimo del purgatorio dantesco scritto minutissimo in un unico vellum candido di capretto.
Il lavoro più ambizioso e complesso di cui fino ad oggi lo scriptorium si è occupato credo che sia il rotulus di più di tre metri e mezzo di pergamena (sei pelli di capretto cucite sul lato corto) riportante una ballata divisa in cinque capitoli, ciascuno con primo capolettera in lombardica decorata.
Ma se questi sono i lavori che probabilmente hanno richiesto più tempo a venire realizzati, ribadisco a costo di risultare ripetitivo che ciascun lavoro, anche di poche lettere è “il più complicato”, perché la ricerca della lettera perfetta è ad ogni singolo tratto di penna di ciascuna pergamena; ed il risultato: “tutto è come vorrei che fosse” è tanto difficile da raggiungere in un rotulus di centinaia di versi quanto in un bigliettino “Auguri Mamma”.
- Molte delle opere che riproduci sono in una lingua diversa dal nostro italiano moderno, anche solo perché scritte in un volgare dell’inizio del ‘400. È un problema la lingua in sé o si può affrontare la riscrittura di un’opera anche senza essere certi del significato delle parole che riporta? Hai dovuto studiare lingue diverse per il tuo lavoro?
Io come molti amanuensi di secoli fa ci siamo trovati ad affrontare testi in lingue che non conosciamo. È possibile farlo, anzi in alcuni casi è addirittura un vantaggio: quando conosci una lingua può capitare – soprappensiero – di correggere o cambiare parole.
Quando scrivi in una lingua che non conosci, ti limiti a copiare pedissequamente il testo originale che hai di fronte.
Io ho scritto testi in antico scandinavo ed in ebraico, ho dovuto semplicemente prestare più attenzione a quanto copiavo per essere certo di trascrivere tutto nella maniera più fedele possibile.
In caso di copia di testi antichi dall’originale manoscritto, ove possibile, chiedo comunque una trascrizione del testo, per essere sicuro di interpretare bene la mano dello scriba originale e ciascuna delle lettere vergate.
- Parliamo dell’iconografia. Tu spesso copi testi storici di varia natura, come ti rapporti con gli originali? Come procede lo studio di un testo per rendere la sua replica il più simile possibile alla prima stesura?
Per rendere una copia più fedele possibile all’originale manoscritto si fa quanta più ricerca possibile sul manoscritto originale. Alcune cose si riesce a desumerle già solo guardandone delle foto, specie se si conoscono le abitudini e i fornitori dell’artista, o del monastero che di cui si vuole affrontare la riproduzione.
Altre informazioni le si trova nei cataloghi dei musei, negli studi paleografici, nelle pubblicazioni nelle tesi. Io ho avuto la fortuna di trovare quasi sempre personale museale molto disponibile a darmi informazioni lì ove disponibili.
Poi del lavoro lo si fa per similarità: quando in un periodo in uno stesso luogo o uno stesso artista tendeva ad usare determinati materiali, è plausibile che produzioni simili dello stesso artista o provenienti dallo stesso luogo siano realizzate con quegli stessi materiali.
Professionisti della filiera del manoscritto sono spesso d’aiuto: cartai, pergamenai, pigmentisti, calligrafi, paleografi, restauratori, codicologi, son tutte figure che, a vario livello risultano preziose nella raccolta dati per una buona replica di un manoscritto.
- Una volta studiato il testo, prendiamo ad esempio una pagina miniata da una bibbia o un libro delle ore vergato in pergamena, come procede il tuo lavoro?
Una volta raccolti tutti i dati e i materiali necessari comincia la fase di produzione vera e propria del manoscritto. Si prepara la pergamena, la si pomicia e si spolvera di sandracca o gesso se necessario. Si preparano le penne d’oca calibrando lo spessore delle varie punte necessarie.
Si prendono inchiostri e pigmenti e si preparano i materiali per le tempere, uova fresche, aceto, miele, cristallo, pestello e tutto il necessario.
Si prepara la rigatura del foglio, lo si divide in zone e solo dopo questa fase di preparazione, con l’originale davanti, ed una lente d’ingrandimento quando necessario, si poggia fisicamente la penna sulla pergamena.
- Se volessimo fare una stima, restando sull’esempio precedente, quanto tempo ti occorre per studiare il testo, reperire e preparare gli strumenti e infine realizzare il lavoro?
Dipende dai testi, la fase di studio è tanto più difficile quanto meno famoso è il testo di cui reperire le informazioni (anche se spesso copie di testi di scarsa fama mi vengono richieste da persone che li hanno analizzati in prima persona e che quindi hanno molti dei dati necessari alla prima fase di studio), e la fase di realizzazione è tanto più complessa quanto più è lungo e decorato il manoscritto. È sempre una questione di almeno qualche giorno fra tutto, di settimane nei casi più complessi.
- Ci hai detto che hai realizzato da poco un lunghissimo rotolo in pergamena, ti è mai arrivata la richiesta per un intero libro rilegato?
No, solo qualche domanda curiosa, ancora nessuna richiesta seria. Ma conto prima o poi di avere l’occasione di realizzare un intero codex rilegato a mano.
- Quanto tempo impiegheresti a realizzare un’opera come la Bibbia di Borso D’Este (cito questa perché da modenese ho avuto più volte l’occasione di vederla e sfogliarla assieme a un grande amico che ne ha curato la digitalizzazione, ma scegli tu se preferisci un’opera della stessa mole)?
La bibbia Borso D’Este è uno dei capolavori ineguagliabili di calligrafia, miniatura e decorazione. Un tentativo di replica impiegherebbe anni di lavoro e migliaia di euro già solo per i materiali. Un’impresa davvero titanica in cui mi imbarcherei con supremo amore e terrore reverenziale. Ma in questo caso sapendo dei tuoi trascorsi con essa (che ti invidio!) avrei un’idea di dove partire per le ricerche preliminari!
- C’è un’opera che vorresti realizzare per te stesso, ma che non hai ancora avuto modo o tempo per crearla?
Io, per me, vorrei tutto. Mi innamoro di ogni manoscritto, dalla semplice nota di carico di un magazzino trecentesco, al mira calligraphiae monumenta.
Amo da impazzire i codici leonardeschi, il codex purpureo, il libro delle ore nero, il flos duellatorum, il piccolo libro d’amore, la lista sarebbe davvero infinita, e citarne uno non rende giustizia alle centinaia di altri che amo e che vorrei riprodurre.
Poi ci sono cose che mi piacerebbe creare: tipo i carmina di Catullo in stile rinascimentale, le poesie di Poe in stile trecentesco, i versi di Shakespeare in elegante corsiva fiamminga.
Insomma, vivrei in una biblioteca manoscritta, davvero. Non potendolo fare, metto la mia mano a servizio e vergo nella realtà pagine strappate dal libro dei sogni di altri.
- C’è tra le tue opere una in particolare di cui puoi dire “Sono certo che non ce ne siano altre al Mondo”?
La tecnica dei velli stesi a telaio è già di per sé una rarità poco praticata nel mondo. Penso che le pagine di Necronomicon vergate nello scriptorium siano di un genere talmente raro da poter essere considerate uniche. Ma qui usciamo dall’ambito storico ed entriamo in quello fantasy: il Necronomicon è lo pseudobiblium citato da H.P. Lovecraft nei suoi racconti di inizio Novecento e poi da tanti altri nella musica, nel cinema, nel gioco di ruolo e nella letteratura.
- Tra le tue opere si vedono principalmente lavori su pergamena, carata fatta a mano e carta pergamenata, hai mai tentato un lavoro sul famoso foglio di papiro?
Certamente! Ho lavorato anche su papiro. Materiale tanto affascinante quanto ostico da domare: ha fibre molto pronunciate e non c’è calandratura che tenga su un supporto scriptorio tanto romanticamente “grezzo”.
Ho avuto il piacere di scriverci un carmen di Saffo in greco antico su commissione di giovane umanista, quello stesso carmen reinterpretato da Catullo e che comincia con “Ille mi par esse deo videtur”
Lo strumento migliore che ho trovato per scrivere sul papiro è il calamo in canna.
Le penne d’oca o peggio i pennini in metallo tendono ad essere troppo rigidi e “saltano” sulle fibre.
Il calamo in canna ha la punta in legno che tende ad ammorbidirsi dopo un poco che la si intinge nell’inchiostro ed è più in grado di “accarezzare” le fibre saltando meno delle altre penne.
- Se volessimo andare più indietro del papiro e tornare alle tavolette di argilla e al cuneiforme (in fondo sempre scrittura è), sarebbe per te un problema realizzare un lavoro del genere, per esempio una copia del primo trattato di pace redatto a Kinza e che adesso è custodito al Topkapi?
Una tavoletta d’argilla in cuneiforme? Sarebbe davvero affascinante realizzarne!
In questo momento, però, mi dichiarerei “non pronto”, dovrei studiarci sopra. Conosco il tipo di scrittura e lavorazione, ma non mi sono mai cimentato in una impresa simile. Ho visto dei video di chi realizza riproduzioni di scrittura cuneiforme e posso affermare che anche per quello c’è uno studio dietro ad ogni tratto e nulla è improvvisato.
- Visto che alcuni di questi materiali sono alquanto desueti, sempre se puoi, ci dici dove te li procuri?
Diverse materie grezze le reperisco direttamente in natura: alcune terre, le penne d’oca, diverse erbe, uova, miele. Il mondo della rievocazione mi ha dato modo di conoscere altri produttori della filiera del manoscritto (ogni volta che incontro un cartaio, provo del materiale “nuovo”), così come fra i calligrafi si trovano ottimi produttori di inchiostri, e i restauratori hanno spesso necessità di trovare gli stessi pigmenti di colore che utilizzo per le mie pergamene.
- Le opere scritte nella storia che sono giunte fino a noi non sono sempre perfettamente conservate, anzi, quasi mai. Ti è mai capitato di essere interpellato per un lavoro di restauro di un originale?
No, il restauro degli originali è un lavoro delicato che lascio a professionisti del settore con anni di studio specifico alle spalle, io ho avuto giusto l’occasione di condividere la mia esperienza di inchiostri e pergamene in alcuni dei musei che ho visitato per motivi di studio, in alcuni casi tale esperienza è stata particolarmente apprezzata (ricordo con orgoglio una lusinghiera lettera di presentazione rilasciatami dal direttore del museo diocesano di Brescia dopo la mia visita).
- Dopo tanto scrivere in bella grafia, hai mai pensato di affrontare il mondo della letteratura come noi semplici umani, con una penna a sfera, o peggio ancora, con dei tasti, e scrivere un saggio sulla grafia nella storia?
No, non credo che il mondo abbia bisogno del mio saggio sulla storia della scrittura. Ci sono paleografi, codicologi o maestri di calligrafia molto più preparati di me! Io sono una mano che scrive e una voce che racconta quello che scrive. Piuttosto un buon paleografo lo “terrei sempre nel taschino”, per consigliarmi mentre scrivo e per poter spiegare con più cognizione e accuratezza le tante nozioni che provo ad accennare al pubblico durante le fiere!
- Sicuramente il tuo lavoro non ha una domanda pari a quella della grande distribuzione, ma da quel che so siete in diversi a fare questo mestiere al mondo, chi definiresti il migliore in questo campo?
Domanda difficile a cui rispondere, tanto più che qualunque nome si citi si fa torto a tante altre mani che sembrano guidate dagli angeli!
Citerò un nome eccellente di una Maestra che insegna calligrafia dai primi anni ’50, che ha creato opere meravigliose e formato alle belle lettere ornate tantissime mani che oggi esprimono una qualità eccellente: Sheila Waters. Lei è una stella polare nel mondo della calligrafia. Poi ci sono mani di italiani eccellenti che per me sono un faro ed una guida: Ivano Ziggiotti, Maestro di penne, inchiostri, colori che produce un codex all’anno, calligrafato e miniato. Opere realizzate in maniera tradizionale, storica, di una bellezza, di una cura e di uno splendore degno dei più bei manoscritti antichi. Alfredo Spadoni: ho avuto il piacere di vedere alcune sue miniature dal vivo. L’ultima fatica di cui sono al corrente è una intera divina commedia miniata. Una meraviglia!
Una volta una rievocatrice con anni di curriculum in riproduzioni di miniature e dipinti medievali mi ha postato nella bacheca Facebook una riproduzione di Spadoni del libro di ore nere scambiandola per l’originale del XV secolo e si convinse dell’errore solo dopo che lui le assicurò di essere certo che non si trattasse dell’originale perché quella era la copia vergata dalla sua stessa mano. Massimo Saccon: un miniatore con la mano guidata dagli angeli, un Maestro in tecniche storiche, dorature, esecuzione, che si occupa anche del restauro di manoscritti. Non so se possano essere considerati “i migliori del mondo”, ma tutte le persone che ho citato detengono un patrimonio sapienziale davvero profondo e una mano capace di creare meraviglie.
- La tua bottega si chiama Scriptorium Amanuense, puoi spiegarci cos’è uno scriptorium nel dettaglio? Il tuo è molto dissimile a uno scriptorium monacale medioevale?
Uno scriptorium è in definitiva un luogo che si occupa della produzione di manoscritti ed in cui più mani concorrono a creare l’armonia di una pagina. Mi piacerebbe pensare che uno scriptorium oggi sia analogo a quelli della tradizione medievale monacale ma le differenze sono molte e sostanziali.
Anzitutto non siamo soggetti alla regola e al papa! A parte gli scherzi, condurre uno scriptorium oggi è una questione imprenditoriale, senza la struttura ecclesiastica a poter finanziare i progetti, ma con la libertà di dare una linea non soggetta a dogmi pontificali. Non si scrive per la biblioteca del monastero, ma per dei committenti.
Non si può scegliere di vivere nel meditativo isolamento monacale, ma si deve essere ben dentro al tessuto sociale ed economico del proprio tempo.
Con i miei colleghi storici condivido i materiali, il senso di reverenza, la sensazione di scrivere all’interno di un solco, con gesti antichi, e con la prospettiva di un tempo cominciato tanti secoli prima di me e che si allunga a tanti secoli dopo di me, fino a quando le lettere vergate sulla resistente pergamena permarranno su questa terra.
- Se volessimo identificare uno scrivano ideale in pieno medioevo, epoca dei grandi amanuensi tuoi colleghi, chi sarebbe, quale sarebbe la sua vita e quali sarebbero i suoi strumenti di lavoro?
La mia controparte storica ideale è, credo che sia, un notaio medievale, che divide la sua vita a redigere per conto terzi atti amministrativi, e testi per conto terzi. Quando è fortunato per qualche nobiluomo o vescovo. In questi ultimi casi gli può capitare di lavorare con altri professionisti quali pittori prestati alla miniatura (a volte a pittori anche di un certo pregio capitava per arrotondare i conti di lavorare negli scriptoria).
Sul tavolo da lavoro della mia controparte storica troveremmo lo scriptorium inclinato (il piano su cui si poggiava effettivamente il foglio da scrivere.
Delle pergamene e della carta fatta a mano, ma di fattura italiana, non saracena perché già nel XIII secolo si sapeva che la carta saracena durava poco.
Vedremmo una calandra di vetro per lisciare la carta fatta a mano, delle pietre pomice per fare la stessa cosa alla pergamena, e della sandracca da spennellarci sopra.
Ci sarebbero delle penne d’oca, e con un po’ di fortuna anche qualche remigante di pavone che son più dure delle penne d’oca, o qualche penna di cigno che ha un calamo più grande.
Nell’atramentarium ci sarebbe del nero ferrogallico, ma immagino che avrei anche del nerofumo pronto da preparare con della gomma arabica. Con le penne ci sarebbe anche un coltellino, o forse più d’uno con lame un po’ differenti, per tagliare e sagomare le punte delle penne, per tenere la carta ed affilare ogni tanto la punta, ed un coltellino a lama lanceolata molto affilato da usare come raschietto per il rasatum (le correzioni sugli eventuali errori). Avrei dell’aceto e dei chiodi di garofano da usare come antibatterici per gli inchiostri, avrei del cinabro per il rosso delle versali, un po’ di miele per renderlo brillante, del fiele di bue.
Sul tavolo ci sarebbero anche dei punteruoli per segnare la carta, squadre e righe, lampade ad olio per la luce, forbici.
Da questo elenco capisco che il tavolo del mio corrispettivo storico sarebbe molto pieno di cose… e che debbo mettere ordine al mio!
- Andiamo sul tecnico, tu usi materiali particolari per il tuo lavoro, se puoi, ci dici quali sono e perché proprio quelli?
Ecco, molti dei materiali che uso sulle mie pergamene li potete vedere elencati alla risposta precedente. Uso proprio quelli per vari motivi: anzitutto il piacere tutto mio di avere la sensazione di star usando materiali di tradizione millenaria, di ripetere i gesti di persone vissute secoli prima di me con le stesse materie usate da loro. Credetemi è una sensazione impagabile!
Poi c’è il pregio: indipendentemente dalla qualità delle mani che ci lavorano sopra, già solo questi materiali nella storia sono stati degni di papi, imperatori e regine. Conferiscono ad ogni opera un’aura di grandezza e splendore.
Poi c’è la durevolezza nel tempo: ricordo che quando ero ragazzo regalai a mia madre, molto religiosa, un “Ave Maria” con le prime iniziali “A” “M” scritte con un bel rosso brillante stilografico Pelikan 4001. Pochi anni dopo e nemmeno esposto a luce diretta, quel lavoro era diventato un ” ve aria” in cui i capolettera erano sbiaditi fin quasi a sparire.
Ho pensato che il modo migliore per evitare problemi del genere fosse utilizzare materiali e tecniche che hanno dato prova di poter resistere secoli sulla pagina.
È più rispettoso del mio lavoro e di chi quel lavoro lo commissiona per sé.
- Bisogna parlare anche di vile pecunia. Nel medioevo un libro miniato aveva un costo che solo in pochissimi riuscivano ad affrontare. Nel nostro 2019 una Bibbia di Borso D’Este quanto potrebbe venire a costare? Logico non vogliamo avere una stima al centesimo, ma giusto un ordine di grandezza.
Come ti accennavo nella domanda in cui precedentemente mi citavi la bibbia Borso D’Este, ritengo che siamo su migliaia di euro solo di materiali grezzi (io ricordo una quantità di oro veramente notevole a decorare quelle pagine, ed ho il sospetto che gran parte di quei blu siano di lapislazzulo) e di anni di lavoro di più professionisti. Credo che si stia parlando di cifre di almeno decine di migliaia di euro, probabilmente di più.
- Infine, a te che riesci a copiare alla perfezione la grafia di Leonardi da Vinci, Fiore dei Liberi e riprodurre perfettamente splendide miniature dai testi medioevali, non si può non chiederti cosa ne pensi della grafologia (quella branca della psicanalisi e psicologia che associa il movimento del testo sulla pagina, la forma e la dimensione delle lettere, la posizione della firma, ecc. ecc. a particolari stati emotivi, psicologici o comportamentali) e se ti sei mai interessato a essa?
Non sono preparato sull’argomento grafologia. Le fonti da cui mi è capitato di leggere qualcosa non sono serie, per cui ammetto di non essermi potuto formare un punto di vista concreto.
So che è materia universitaria, utilizzata in pratiche forensi, e che può quindi essere declinata in maniera piuttosto seria.
So anche che la scrittura è un qualcosa di molto personale che lascia una nostra impronta, per quanto bravi possiamo essere a imitare quella degli altri. Platone diceva che “La scrittura è la geometria dell’anima che si manifesta fisicamente” e quindi per chi sa leggere, magari è possibile trovarvi il filo di Arianna che segna la via del nostro labirinto interiore.
Non sarà stato come essere nello scriptorium di un monastero intanto che i frati copiano opere di filosofi classici con il sottofondo di un confratello che legge dei passi dai Vangeli, ma sicuramente abbiamo un’idea un poco più precisa di cosa sia un amanuense e come lavori, almeno nel 2019.
Se avrete l’occasione di vedere Stefano all’opera rimarrete estasiati vedendo nascere una pagina dal nulla, con la pergamena rovesciata e la penna (vera come la pergamena e ci perdonino gli animalisti!) che si muove lenta e sapiente saltando ogni tanto nell’inchiostro.
Se sarete là con lui davanti alle sue opere fermatevi a fare due chiacchiere e avendo tempo vi spiegherà molto di più tenendovi con gli occhi vaganti tra la cartapecora, penne e pigmenti.
Grazie Stefano per il tuo tempo e grazie per tener vivo un mestiere vecchio, si può proprio dire, millenni.
- Link articolo originale: https://narraredistoria.wordpress.com/2019/09/26/intervista-stefano-gelao-un-amanuense-del-ventunesimo-secolo/
- Link al blog "Narrare di Storia": https://narraredistoria.wordpress.com/